Per mano, verso la parità di genere

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Per mano verso la parità di genere è il blog dell’associazione Apeiron ODV, impegnata dal 1996 a migliorare le condizioni di vita delle donne, in Nepal e in Italia. Sul nostro blog leggerai storie e racconti del nostro lavoro quotidiano.

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Il ritorno a CASANepal… (prima parte)

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Scritto da
Pubblicato il
29 Ottobre 2024

Barbara Monachesi, Responsabile dei progetti di Apeiron, come già sapete, è tornata anche quest’anno in missione in Nepal.
Tra i progetti che ha visitato non poteva ovviamente mancare CASANepal, il progetto che più di tutti ha avuto un ruolo fondamentale nel suo percorso di crescita tanto personale, quanto professionale.  

In questa prima parte di articolo (di cui verrà pubblicato il proseguo nei prossimi mesi), ci racconta della sua visita e del suo incontro con Sita, una delle donne ospiti attualmente nella struttura protetta. Buona lettura!

 

CASANepal: un tumulto di emozioni

CASANepal ha avuto un ruolo fondamentale nel mio percorso di crescita tanto personale, quanto professionale.
Così, ora che vivo in Italia, quando arriva il momento di tornarci mi si scatena dentro sempre un tumulto di emozioni contrastanti.

Mi dico che è comprensibile, considerando quante energie, impegno e passione ci ho messo in prima persona per tanti anni.
Dal lontano 2007, infatti, ho vissuto quotidianamente CASANepal per tutti i 16 anni della mia permanenza in Nepal ed anche dopo il rientro in Italia è il progetto che continua ad occupare gran parte delle mie energie tra raccolta dei dati, rendicontazioni, confronto con le colleghe per la gestione delle questioni più critiche etc…

Da lontano tuttavia, e soprattutto immersa in una realtà, quella italiana, così differente, a volte dimentico perché questo posto è così speciale, tendo a non ricordare i miracoli delle guarigioni che avvengono al suo interno.

Tutto torna ad essere chiaro

Eppure… mi è bastato imboccare nuovamente la stradina che porta al suo cancello perché tutto tornasse ad essere chiaro, reale, palpabile.
La via è martoriata dai lavori, ogni anno ce ne sono di nuovi, non mi stupisco, è così da sempre in tutto il Paese. Suono e mi viene ad aprire una ragazza che mi sembra giovanissima. Un sorriso sincero le illumina il viso, è vestita in maniera impeccabile, ha anche un filo di rossetto e l’immancabile kajal, la linea nera che marca il contorno degli occhi, più per protezione che per vezzo.

Mi dirigo verso l’ufficio, dove intorno al tavolo sono già sedute le colleghe; oggi ci attende un tour de force, vogliamo rivedere nel dettaglio i protocolli di presa in carico e di gestione dei casi di violenza, con tutta la modulistica a corollario. Sono passati diversi anni da quando li abbiamo elaborati ed è arrivato il momento di verificarne l’attualità.

Sita non ha mai incontrato persone straniere

Mi porta il primo tè bollente della giornata la stessa ragazza sorridente che mi ha aperto il cancello… si chiama Sita, mi dice, ed ha 24 anni. Quando si allontana le colleghe mi raccontano che è arrivata a CASANepal incinta, vedova e con già un’altra figlia al seguito. Vittima di strupro e di prolungata violenza domestica, Sita è stata indirizzata a CASANepal dai Servizi Sociali per ricevere un supporto concreto.

Non ha mai incontrato persone straniere, è curiosa, soprattutto perché parlo discretamente la sua lingua. Fa sapere alla psicologa che avrebbe piacere che conoscessi la sua storia. Le assicuro che, finita la riunione, mi sarei fermata ad ascoltarla ed è così che, nel tardo pomeriggio, con in mano l’ennesima tazza di tè caldissimo, ci sediamo sul grande terrazzo del tetto di CASANepal e Sita inizia a raccontarmi la sua vita.

La storia di Sita

“Ho qualche vago ricordo sul fatto che, quando ero piccola, i miei genitori non andassero granché d’accordo. Ma quando mia madre ha deciso di lasciare mio padre è stato comunque un duro colpo: improvvisamente ho perso entrambi i genitori. Mio padre, infatti, non ha più voluto sapere di me e dato che mia madre con il mio patrigno si sono trasferiti in India per lavorare, io sono stata costretta ad andare a vivere dai nonni materni. Sono stati proprio i nonni a dirmi che il nuovo marito di mia madre in realtà aveva già un’altra moglie e due figli. Non capivo bene le conseguenze di questa cosa, ma avevo la sensazione che non fosse una notizia positiva. 

Quando ho compiuto 11 anni mia madre ha dato alla luce un altro bambino e allora ha deciso di portarmi con sé in India.
Ho scoperto che la decisione non era stata presa perché la mamma avesse finalmente capito quanto mi mancava e quanto soffrissi la sua lontananza, ma solo affinché potessi prendermi cura io della casa e del mio fratellastro.

Ed in India è iniziato un nuovo incubo.

La picchiava e basta. Sempre.

Il mio patrigno era un alcolizzato ed era solito picchiare mia madre ogni giorno. Non potevo credere ai miei occhi, era talmente abituato a prenderserla con lei, che non gli serviva nemmeno una scusa per farlo. La picchiava e basta. Sempre. Un giorno che mia madre non si sentiva molto bene, il mio patrigno si è infuriato perché secondo lui faceva finta. Davanti ai miei occhi, gli si è scagliato contro e l’ha strangolata. Ero pietrificata. Non sono riuscita a fare nulla, mia madre è morta ed il mio patrigno mi ha minacciato di farmi fare la stessa fine, se solo avessi raccontato l’accaduto a qualcuno. Ha detto a tutti che sua moglie era morta improvvisamente di una malattia. Non conoscevo nessuno lì ed ero talmente terrorizzata che per giorni non ho parlato. Ho continuato ad occuparmi della casa e del mio fratellastro, piangendo in silenzio.

Il mio patrigno ha quindi deciso che dovevamo tornare in Nepal per completare i riti post-mortem. Dopo pochi giorni, mentre cucinavo, mi ha aggredita alle spalle e mi ha stuprata, minacciandomi ancora una volta di uccidermi se avessi osato raccontare la cosa a qualcuno. Non so dove posso aver trovato il coraggio, ma la mattina presto sono uscita di casa con la scusa della spesa e ho raccontato ad una vicina la violenza subita. Senza esitare lei mi ha accompagnata alla polizia dove ho sporto denuncia: è stata così intentata una causa contro il mio patrigno che è stato mandato in prigione. Mio fratello minore è stato affidato ad una casa famiglia gestita da un’organizzazione locale affinché potesse ricevere le cure necessarie. La mia vicina di casa ha fatto in modo che mio padre venisse informato della mia situazione. È venuto a prendermi e mi ha ripresa a vivere con lui, dandomi la possibilità di tornare a scuola.

Un marito: l’unica possibilità per sopravvivere

Dopo aver completato la decima classe, però, mio padre ha programmato il mio matrimonio con un ragazzo che veniva dal distretto di Khotang. Avrei voluto continuare a studiare, ma mio padre mi disse che non poteva più occuparsi di me: l’unica possibilità per sopravvivere sarebbe stata trovare un marito. “Se sarai fortunata, tuo marito ti lascerà continuare gli studi” mi disse mio padre il giorno del matrimonio. Quando avanzai la richiesta a mio marito, pochi giorni dopo le nozze, lui prima rise e poi mi diede uno schiaffo fortissimo sulla guancia sinistra.  Quella fu la prima volta che mio marito mi picchiò. Anche lui, come il mio patrigno, beveva troppo e trovava sempre un pretesto per schiaffeggiarmi, calciarmi, graffiarmi. Non c’era alcun affetto tra noi, avevo 16 anni ed ero diventata la sua schiava. Dovevo occuparmi della casa, dell’orto, degli animali domestici e subire violenze quotidiane. Il momento peggiore era la sera quando mi costringeva ad avere rapporti sessuali con lui. Vivevo nel terrore continuo.
Dopo qualche anno di matrimonio rimasi incinta e diedi alla luce mia figlia Radha. È lei l’unica ragione per cui ho continuato a tenere duro fino ad oggi.”

Sita si commuove. È incredibile, penso, come abbia potuto raccontarmi di abbandoni e maltrattamenti indicibili in maniera controllata, mentre le sia bastato nominare sua figlia per sciogliersi in lacrime. Viene da piangere anche a me, ma mi volto perché non mi veda e possa riprendere il suo racconto.

(… il racconto continua nel prossimo articolo su questo blog)

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