Prosegue la rubrica AvanguardiaDonna!
Questo mese volgiamo lo sguardo ad oriente per raccontare la storia di una delle artiste contemporanee più significative nel raccontare la complessità delle condizioni sociali all’interno della cultura islamica, in particolare al ruolo che la donna ricopre.
Shirin Neshat fotografa e videoartista ci porta in un mondo sconosciuto e tragico drammaticamente documentato dalla sua arte.
Difficile distogliere lo sguardo dalle sue opere e da quello che rappresentano.
Buona lettura!
Emanuela Caccia
La sua storia
Shirin Neshat nasce in Iran nel 1957 e si trasferisce negli Stati Uniti per frequentare l’università.
Dopo essere tornata in madrepatria nel 1990, l’artista rimase colpita dai cambiamenti causati dalla rivoluzione, a seguito della quale furono emanate leggi restrittive secondo le quali le donne potevano tenere scoperti solo il volto e le mani.
Neshat sceglie quindi di diventare un’artista per documentare la realtà e denunciare le nuove regole imposte alle donne, da lei considerate ingiuste.
La sua arte
Attraverso il suo lavoro Shirin Neshat analizza le difficili condizioni all’interno della cultura islamica, con particolare attenzione al ruolo della donna, approfondendo i temi sociali, politici e psicologici dell’essere donna nelle società islamiche contemporanee.
Neshat rifugge dalle rappresentazioni convenzionali dell’Islam, i suoi obiettivi artistici non sono esplicitamente polemici.
Piuttosto, il suo lavoro riconosce le forze intellettuali e religiose complesse che modellano l’identità delle donne musulmane nel mondo intero.
Come fotografa e video-artista, Shirin Neshat è famosa per i suoi ritratti di corpi di donne interamente ricoperti da scritte in calligrafia araba.
Nelle sue fotografie e nei suoi video mostra attraverso immagini piene di tensione dei corpi velati, dei martiri (uomini o donne), persone sottomesse, che ogni giorno devono fare i conti con la violenza e la discriminazione.
Ha inoltre diretto svariati video, tra cui Anchorage (1996), proiettato su due pareti opposte: Shadow under the Web (1997), Turbulent (1998) prodotto da Noire Gallery, Rapture (1999) e Soliloquy (1999).
Con il suo lungometraggio: Donne senza uomini, nel 2009 vince il Leone d’argento per la miglior regia al 66º Festival di Venezia.
Vive attualmente tra il suo paese di origine e New York.
(Fonte Wikipedia)