Sostenibilità per il progetto di Sindhuli
In questi giorni Barbara Monachesi, Responsabile di Apeiron ODV, si trova in Nepal per un attento monitoraggio periodico dei progetti. La sua missione è partita con la visita al progetto di Sindhuli, uno dei 77 distretti del Nepal situato nella parte orientale del Paese, dove Apeiron gestisce per conto del governo nepalese una struttura protetta sin da 2017, adottando lo stessa modalità di lavoro elaborata per CASANepal.
Dopo alcuni anni trascorsi in un vecchio edificio in affitto, un appartamento piccolo e buio nel centro del capoluogo di provincia, finalmente il governo locale ci ha assegnato gratuitamente un edificio pubblico di nuova costruzione; un luogo maggiormente adatto ad accogliere donne e bambini e ad organizzare attività formative, occupazionali e riabilitative. Ma il supporto delle istituzioni non è finito qui. I nove comuni di cui è composto il distretto hanno recentemente formalizzato l’impegno a garantire annualmente un parziale sostegno economico al progetto. Questo è un enorme successo per Apeiron, ma soprattutto per le ragazze e le donne di Sindhuli, dal momento che solo un impegno istituzionale può assicurare sostenibilità a lungo termine della struttura protetta e dei servizi che fornisce alle sue ospiti.

Un lavoro di rete consolidato negli anni
“L’incontro presso il District Coordination Comittee (DCC) di Sindhuli è stato molto proficuo perché è emerso il grande coinvolgimento sia dello staff locale, sia delle istituzioni. In questi anni abbiamo lavorato molto con vari settori governativi (polizia, ospedale, tribunale) e della società civile (altre organizzazioni, gruppi di cittadini) per creare un sistema di referral valido e basato su reciproco aiuto. La rete funziona piuttosto bene. È sotto gli occhi di tutti che questo prezioso lavoro non deve essere sprecato perché c’è ancora tantissimo da fare ed è solo con la massima collaborazione che possiamo riuscirci!” dice Barbara Monachesi, Responsabile dei progetti di Apeiron ODV.
Quando Apeiron ha iniziato a gestire la struttura protetta, le donne ospitate erano semplicemente abbandonate a sé stesse. Avevano sì la possibilità di un rifugio lontano dalle violenze, ma non veniva proposta loro nessuna attività formativa, assistenza legale o psicologica, e quindi rimanevano solo qualche giorno, per poi tornare a situazioni di violenza inenarrabili in assenza di una reale alternativa. Grazie al sostegno di numerosi donatori privati e fondazioni italiane, nel tempo siamo riusciti a portare anche a Sindhuli il modello ormai consolidato di CASANepal, basato su un approccio olistico e che mette l’interesse ed il bene ultimo delle sopravvissute al centro (“survivor centered approach”). Ora anche qui le ospiti possono contare su supporto psicologico, assistenza sanitaria e legale, terapia occupazionale, oltre a moltissimi corsi professionalizzanti come quello di sartoria e altri in collaborazione con altre associazioni e servizi locali.
Il contesto spaventoso di Sindhuli
La struttura di Sindhuli può ospitare 16 persone, al momento sono ospitate 9 donne e 3 bambine. C’è da precisare che purtroppo nel corso dell’ultimo anno, l’età anagrafica delle ospiti è drasticamente scesa e questo fatto ha lasciato sempre più sgomenti tutti, in primis lo staff: non sono più solo donne ad essere accolte, ma giovani ragazze, adolescenti e bambine, vittime di gravissimi stupri in ambito familiare e domestico. Alcune arrivano incinte e partoriscono con il sostegno dello staff, che le supporta nella drammatica decisione di come e se prendersi cura del nuovo nato o se darlo in adozione. “E’ una situazione sconvolgente, fuori dall’immaginario” dice Barbara nei suoi racconti “Una vera e propria piaga sociale causata da retaggi culturali, famiglie disfunzionali allo sbando e situazioni di comunità difficili da gestire. Per fortuna quando arrivano nelle strutture sanitarie queste ragazzine vengono accolte e curate nel migliore dei modi, ma presso le loro comunità sono trattate come appestate, isolate e torturate psicologicamente, come se non bastasse quello che già hanno subito. Spesso sono completamente sole mondo, il padre abusante è in carcere ma la madre è scappata o si è suicidata”. Come spesso ricordiamo nei nostri interventi, il suicidio è la principale causa di morte per le donne nepalesi in età riproduttiva, a causa dell’insostenibilità delle violenze subite e la mancanza di un sistema di supporto, psicologico e non solo, per superare il trauma subito. Un intervento di Apeiron per queste giovani donne è quindi quanto mai necessario in una zona del Nepal dove la violenza di genere non accenna a diminuire.

Mi dispiace leggere questa brutta realtà , spero che il vostro sforzo sia proficuo per eliminare definitivamente tutta questa cattiveria
Ciao Marco, purtroppo è difficile sradicare completamente la violenza, ma facciamo del nostro meglio perchè le donne abbiano gli strumenti per reagire e cambiare la loro vita.